The Globalist – 18 settembre 2016
Alle origini del neoliberismo. Un Nobel e un omicidio politico
di Andrea Ventura
di Andrea Ventura
Il 21 settembre di quarant’anni fa, a Washington, un’automobile saltava su una bomba. Orlando Letelier e la sua giovane collaboratrice dell’Institute for Political Studies, Ronni Moffitt, perdevano la vita, mentre il marito di lei restava gravemente ferito. Letelier era un personaggio di primo piano nel governo socialista cileno. Esperto in questioni economiche e amico personale di Allende, egli fu dapprima ambasciatore presso gli Stati Uniti, poi ministro degli esteri e infine, al momento del colpo di stato, ministro della difesa. Imprigionato e torturato per un anno dalla giunta cilena, Letelier fu rilasciato su pressioni internazionali e riparò negli Stati Uniti, dove lavorò attivamente contro il governo di Pinochet denunciando gli appoggi che il regime riceveva dalla comunità economica internazionale. Per le sue denunce e per l’attività che svolgeva nell’organizzare l’opposizione a Pinochet, Letelier era una spina nel fianco della giunta cilena.
Oggi, a distanza di quarant’anni, possiamo utilmente rileggere quello che fu il suo testamento. In un suo saggio pubblicato dal settimanale progressista americano The Nation meno di un mese prima dell’attentato (The Chicago Boys in Chile: Economic Freedom’s Awfull Toll) Letelier, infatti, non si limita a denunciare le brutalità della giunta, peraltro sotto gli occhi di tutti. Il suo scritto verte piuttosto sullo stretto legame tra le violazioni dei diritti umani perpetrati da Pinochet e le politiche economiche attuate a seguito del colpo di stato. Come è possibile, si chiede Letelier, che esponenti di istituzioni finanziarie pubbliche e private si rammarichino per le torture, le persecuzioni e la soppressione della democrazia, e al contempo si congratulino con Pinochet per aver portato la libertà economica in Cile? Quale idea di libertà hanno coloro i quali scindono libertà economica e terrore politico, fingendo di non vedere quanto invece i tragici eventi cileni mostrino il nesso che li lega?
Letelier si rivolge in particolare a Milton Friedman, autore di un testo, Capitalismo e libertà, dove sulla scia delle tesi del suo maestro von Hayek si afferma che solo il liberalismo economico è compatibile con la democrazia. La tesi fondamentale di Hayek e Friedman, infatti, è che il mercato costituisce l’ordine naturale della società e ogni interferenza con esso rappresenta un passo verso il dispotismo, la dittatura e l’eliminazione delle libertà individuali. Ma la realtà che Letelier ha sotto gli occhi è ben diversa: è l’imposizione del fondamentalismo del mercato che si è associata alla distruzione della democrazia. Come denuncia nel suo saggio, infatti, un gruppo di economisti cileni formatesi all’università di Chicago con Friedman e Harberger e finanziati dalla CIA – i “Chicago boys” – non solo formularono in anticipo, fin nei dettagli, il programma economico della giunta golpista, ma furono anche coinvolti in prima persona nella preparazione del colpo di stato.
Le pagine di Letelier, proprio nella misura in cui tolgono l’economia dal vuoto teorico e pongono la disciplina nella prospettiva della sua valenza politica, ci insegnano qualcosa che purtroppo vale anche per l’oggi. Nel momento in cui Letelier scrive, cioè fino agli anni settanta del secolo scorso, la teoria economica dominante era infatti quella keynesiana. In Cile viene dunque messo in atto un esperimento sociale basato sull’applicazione di teorie che a quel tempo erano minoritarie. La giustificazione che Friedman e Harberger forniscono per le politiche liberiste era che, per crescere nel lungo periodo, il Cile aveva assolutamente bisogno di una terapia shock che facesse piazza pulita delle interferenze delle politiche di Allende con le forze del mercato. La giunta cilena ha dunque applicato quella medicina: privatizzazioni di imprese statali, riduzione dell’intervento pubblico nell’economia, distruzione delle organizzazioni dei lavoratori, eliminazione dei sostegni sociali alle famiglie povere, liberalizzazione dei movimenti delle merci e dei capitali, via libera alla speculazione finanziaria, insomma quell’insieme di ricette che oggi costituisce l’orientamento di fondo delle politiche economiche in tutto l’Occidente, ebbe nel Cile di Pinochet – come anche nell’Argentina di Videla e in altri paesi del Sud America – una delle sue prime applicazioni. Anche le conseguenze di quelle politiche, immediatamente denunciate da Letelier – povertà, disoccupazione, accentramento della ricchezza nelle mani di pochi, caos finanziario – anticipano quanto osserviamo oggi in tutto l’Occidente a seguito della diffusione di quelle stesse teorie economiche.
Gli anni settanta sono anni di crisi. Come un’ampia letteratura ha ormai posto in evidenza, il capitalismo occidentale aveva dunque bisogno di una teoria economica che gli consentisse di recuperare un controllo sociale che sembrava sfuggirgli. Lungi dal costituire una macchia, il coinvolgimento di Friedman e dei suoi seguaci nelle politiche dei golpisti cileni costituirono perciò un viatico per nuovi successi. Così, meno di un mese dopo l’assassinio di Letelier, Milton Friedman riceve il cosiddetto “Premio Nobel” della Banca di Svezia per l’economia. Da allora le sue idee cominciano a soppiantare quelle keynesiane. Le vittorie di Reagan e della Thatcher, l’emarginazione dei keynesiani da istituzioni quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, la costituzione di think-thank lautamente finanziati da magnati, banche e industrie, poi l’affermazione negli anni novanta del cosiddetto “Washington Consensus” – un insieme di prescrizioni di politica economica basate appunto sulla fiducia nell’operare spontaneo del mercato – fino alla costruzione della moneta unica europea e alla definizione delle regole fiscali che l’accompagnano, trovano infatti nelle tesi di Hayek e Friedman, e nel neoliberismo in genere, il loro filo conduttore.
La tesi di Letelier, nella sostanza, è che le politiche basate sul libero mercato attuate dalla giunta non possono essere scisse dell’obiettivo di alterare gli equilibri sociali e politici del paese. Violenza politica e soppressione della democrazia da un lato, fondamentalismo del mercato dall’altro, costituiscono dunque due aspetti inscindibili di uno stesso progetto politico. Della stessa opinione fu tra gli altri il celebre giornalista investigativo argentino Rodolfo Walsh, catturato e ucciso a Buenos Aires il 25 marzo 1977. Walsh, poco prima della sua morte, scrisse una lettera pubblica al generale Videla dove, assieme alla denuncia dei crimini della giunta – dalla descrizione dei metodi di tortura alla lista dei desaparecidos, finoall’ubicazione esatta delle fosse comuni – affermò che crimine ancor maggiore è la “miseria pianificata” generata dalle politiche economiche del regime, e che va ricercata in queste ultime la ragione delle sofferenze inflitte al popolo argentino.
Oggi che i principi del neoliberismo sono insegnati nelle università, diffusi dagli organi di informazione e seguiti dalle classi dirigenti, oggi che mostri della finanza come J. P. Morgan suggeriscono modifiche alle costituzioni nate dalla sconfitta del fascismo per poter avanzare più speditamente nella cancellazione dei diritti sociali, vale un’analoga considerazione: oltre le critiche teoriche e le denunce delle loro fallimentari conseguenze pratiche, la natura delle politiche economiche poste in essere in Occidente non può essere compresa dimenticando in quale contesto esse ebbero le prime applicazioni.