left n. 5, 14 febbraio 2015
di Andrea Ventura
La proposta di trasformazione del debito della Grecia illustrata da Longobardi su questo numero di left può avere effetti dirompenti perché mette in discussione un assunto per il quale, qualsiasi sia l’andamento del ciclo economico o il successo dello specifico progetto, i creditori hanno il diritto prioritario di ottenere un rendimento positivo sui loro investimenti. Per comprendere la centralità politica, più che economica, di quest’ assunto, e dunque quale sia la posta in gioco nello scontro che oggi si profila tra la Grecia e i suoi creditori, dobbiamo inserirlo nel suo contesto storico e ricordare un passaggio decisivo: quello tra gli anni settanta e gli anni ottanta del secolo scorso.
Quando il capitalismo abbandonò Keynes
In quel frangente, da Reagan alla Thatcher, il capitalismo anglosassone abbandonò i principi del keynesismo per passare a una gestione dell’economia e della società basata sul neoliberismo. Ma quello che avvenne nel cuore del capitalismo ebbe effetti ovunque. Nel mondo i tassi d’interesse aumentarono, in Italia la Banca centrale cessò di acquistare titoli del debito pubblico cosicché il Paese si trovò costretto a rivolgersi al mercato quasi fosse una qualsiasi impresa privata, e in Europa, infine, negli anni novanta prese forma quel progetto di costituzione economica e monetaria che oggi mostra la sua assoluta inadeguatezza. Fino agli anni settanta lo schema di riferimento per le politiche economiche s’ispirava alle teorie keynesiane: in estrema sintesi, la politica economica era finalizzata alla regolazione del ciclo economico con interventi di politiche monetarie (sul tasso d’interesse) e fiscali, mentre l’andamento delle retribuzioni era regolato da accordi tra le parti sociali che distribuivano tra profitti e salari i vantaggi derivanti dagli aumenti della produttività. La democrazia politica, assieme alle organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori, aveva cioè una funzione essenziale nella composizione dei conflitti e nel controllo delle forze del mercato. Possiamo affermare che esistevano liberi mercati delle merci, ma il mercato della moneta e del lavoro era regolamentato. Gli anni ottanta inaugurano un dunque regime completamente diverso, la cui antropologia sottostante può essere riassunta dalla celebre affermazione delle Thatcher per la quale «la società non esiste, esistono solo singoli uomini e donne e le loro famiglie che devono badare a se stessi». Di qui l’idea di costruire una società di mercato come luogo di massima espressione della libertà individuale: il mercato e la massimizzazione del profitto, in particolare quello derivante dalle attività finanziarie, si costituiscono ora come obiettivo fondamentale dell’intera organizzazione sociale. Rispetto a quest’unico obiettivo, diritti, ambiente, lavoro, occupazione, Stato sociale e democrazia diventano variabili subordinate.
Europa: l’insostenibile pesantezza del debito
Oggi la piccola Grecia sta sfidando il Golia della finanza globale chiedendo una ristrutturazione del proprio debito attorno ad un principio elementare: il rischio, in un rapporto d’indebitamento, deve essere condiviso tra creditore e debitore. Se in Europa sono stati impegnati quasi tremila miliardi di euro per evitare il tracollo della finanza privata, se la Bce si accinge a mettere in circolazione mille miliardi di euro, un intervento per alleviare le condizioni materiali di vita di un piccolo Paese di 11 milioni di abitanti, che ormai vede quasi mezzo milione di bimbi sottoalimentati, tubercolosi e malattie infettive sempre più diffuse, disoccupazione e povertà a livelli intollerabili, non può costituire un problema oggettivo. Il mantra per il quale “non ci sono i soldi” dove essere sostituito da un’espressione più precisa: “non si fa credito”. Ma il credito è sempre stato concesso alla Grecia quando essa si muoveva in modo conforme agli interessi della finanza globale: se il Paese oggi è indebitato, è appunto perché qualcuno gli ha fatto credito. Nei sistemi finanziari moderni, dobbiamo ricordarlo, la moneta è creata dal sistema finanziario e dalle banche centrali proprio nel momento in cui si concede del credito: non è dunque una merce che può scarseggiare per motivi oggettivi. Se la moneta non si crea per l’economia reale, ma per i salvataggi bancari, questa scelta, per quanto dettata dai vincoli della Costituzione monetaria europea, rimane una scelta politica. Chi opera per la distruzione del Paese vuole mostrare che non vi sono alternative allo strapotere della finanza globale. Ma l’insostenibilità di questo modello ricomparirà quando problemi di gestione del debito simili si porranno in Italia, Portogallo, Spagna, o in Francia, con il rischio che, con l’aggravarsi della crisi, forze xenofobe o di estrema destra prendano il sopravvento. Oggi appare necessario sostenere il nuovo governo greco, ma non possiamo limitarci a ciò: è urgente la ricostruzione di una cultura politica di sinistra oltre i riferimenti culturali del Novecento. Un sistema economico integrato come quello europeo non può essere gestito in modo coerente se non si hanno presenti i vincoli (ambientali, politici, giuridici) all’interno dei quali l’attività economica si svolge, se non si rispettano le specificità nazionali, se non s’individuano i bisogni urgenti da soddisfare e, in ultima istanza, se non si ragiona su quale idea di socialità e di benessere, oltre il benessere economico, debba essere perseguita.