left, n. 1, 6 gennaio 2018
Nell’illusione di libertà del ’68 i semi del liberismo
Nessuna sinistra può rinascere evitando di affrontare la domanda su come la libertà e l’uguaglianza possano comporsi senza che l’una distrugga l’altra. La risposta richiede una ricerca sull’identità umana su basi completamente diverse da quelle del passato.
di Andrea Ventura
Abbiamo un sogno. Lontano dall’incollare pezzi della vecchia sinistra attaccati al potere, la nuova formazione politica “Liberi e uguali” parte da queste due parole per ricostruire l’identità di una nuova aggregazione politica. La sorte di queste parole, infatti, definisce la frattura storica della sinistra degli anni ’70, accompagna il suo declino, e segna le sue sconfitte: dunque la ricerca sulla possibilità di una loro composizione è il presupposto per qualsiasi programma politico di sinistra che possa avere qualche possibilità di successo.
La libertà fu rivendicata con forza dai movimenti giovanili del ’68 e degli anni ’70: libertà da qualsiasi forma di potere, rifiuto dell’autoritarismo nelle scuole e nelle università, libertà sessuale, ma anche purtroppo libertà nell’uso e nell’abuso di sostanze stupefacenti, nel suicidio, in una sessualità troppo spesso priva di affetti. Questa libertà, rivendicata da un’intera generazione in tutto l’Occidente, era una libertà priva di ogni altra qualificazione: e sebbene abbia condotto a conquiste civili importantissime, demolendo culture autoritarie portando ad enormi passi avanti nella parità tra uomini e donne, si è anche accompagnata ad una filosofia che teorizzava la fine del soggetto e il nulla radicale come condizione connaturata all’essere umano. Heidegger, Foucault, Derrida, Althusser e tanti altri, insomma un’intera cultura politica e filosofica ha considerato la libertà umana come aperta a qualsiasi esito: anche la malattia mentale era una “libertà”. E allora, perché no, sono coerenti con questa libertà anche l’arricchimento illimitato, la liberalizzazione dei mercati, la critica al “potere” dello Stato nell’economia, l’individualismo esasperato, la legge del più forte. Il capitalismo fa peraltro della “libertà” la sua bandiera ideologica, dunque, sotto diversi aspetti, gli anni ’80 – quelli dell’offensiva del capitalismo contro le forze del movimento operaio -, poterono risultare compatibili con quelle rivendicazioni di libertà.
L’uguaglianza, l’altra grande parola che ha segnato tante lotte sociali, negli anni ’60 e ’70 fu ancorata all’idea delle forze del movimento operaio per la quale era necessaria l’uguaglianza nella soddisfazione dei bisogni materiali di tutti. Ma il progresso economico, ottenuto in quei decenni anche grazie all’intervento pubblico nell’economia, aveva generato un benessere sconosciuto ad ogni generazione del passato, rendendo meno pressante la questione della soddisfazione dei bisogni materiali. In seguito, con il crollo del comunismo nei paesi dell’Est, è crollata anche ogni prospettiva di superamento del capitalismo. Privi così sia della loro principale giustificazione storica, sia di qualsiasi base teorica, i partiti della sinistra tradizionale scelsero di aderire all’idea che, per il progresso umano, fosse necessario assecondare il dominio del mercato. Il capitalismo poté affermarsi sempre più radicalmente, erodendo le conquiste sociali del novecento.
In sostanza libertà e uguaglianza, la prima rivendicata dai movimenti di contestazione giovanile nati dal ’68, la seconda dalle forze tradizionali del movimento operaio, piuttosto che comporsi per la costruzione di una società più evoluta, dapprima si scontrarono duramente, poi lasciarono il campo a quel capitalismo che entrambi avrebbero voluto superare.
Il dominio del capitalismo e dell’ideologia del mercato sull’intera società mostra ormai limiti che è superfluo qui richiamare. Essenzialmente la libertà si è risolta nell’affermazione della legge del mercato, soffocando ogni altra istanza sociale, mentre l’uguaglianza è stata distrutta da disuguaglianze economiche sempre più inaccettabili. Nessuna sinistra può rinascere evitando di affrontare la domanda su come libertà e uguaglianza possano comporsi senza che l’una distrugga l’altra. La risposta a questa domanda, a sua volta, richiede una ricerca sull’identità umana su basi completamente diverse da quelle del passato.
Non vi può essere anzitutto alcun genuino sviluppo della libertà umana se non fondandolo sulla socialità. La libertà, in sostanza, non può essere tale – o meglio non può portare ad alcuna evoluzione sociale – se comprende la libertà di negare o distruggere l’identità altrui. Per una nuova e più evoluta concezione della libertà bisogna perciò scoprire ciò che fonda la naturale socialità umana. È necessario proporre qui un passaggio teorico di notevolissimo rilievo. Il fondamento della socialità va individuato non nella ragione, e tantomeno nella religione, ma in quelle dimensioni non coscienti e non razionali che, se sane, consentono che la libertà di ciascuno sia accresciuta dalla libertà altrui. Questa nuova concezione della libertà deve trovare espressione sul terreno della conoscenza e della cultura (che sono fenomeni largamente legati allo sviluppo sociale complessivo), dell’arte, della sessualità, della vita sociale, dimensioni queste assai lontane dalla ragione e dal calcolo di convenienza, dunque dallo sfruttamento altrui per il proprio arricchimento.
Affinché questa nuova idea di libertà possa affermarsi, serve l’uguaglianza. L’essere umano deve cioè essere capace di riconoscere istintivamente che, aldilà delle differenze osservabili oggettivamente con i sensi fisici come quelle tra uomo e donna, tra bianchi e neri, aldilà delle differenze linguistiche e culturali, l’altro essere umano è un nostro simile e non un nemico da opprimere o respingere, o un oggetto materiale da sfruttare. Va sviluppata perciò un ricerca nuova sul mondo del non cosciente, sulla realtà dei primi mesi di vita di dell’essere umano (dove non vi sono ragione e pensiero concettuale ma solo affetti e sensibilità), e sulle condizioni in cui questa realtà non cosciente possa smarrirsi, alterarsi, oppure possa svilupparsi nella vita in società. L’uguaglianza potrà allora accompagnarsi alla libertà, e non scontrarsi con essa. Ricostruire il collettivo dunque, ricostruire la socialità, superare l’idea neoliberista per la quale la società non esiste ma esistono solo i singoli individui, ricomporre uguaglianza e libertà, per pervenire ad una “fraternità” che non sia quella della religione cattolica. Quest’ultima, infatti, offre la carità ma nega l’uguaglianza, affermando che le donne non sono uguali agli uomini perché più lontane da dio, che i non battezzati sono diversi dai battezzati perché corrotti dal peccato originale, e che gli uomini virtuosi saranno liberi nella comunanza con dio, dopo la morte, quando l’anima si sarà liberata dai vincoli del corpo.
L’acronimo di Left comprende anche la T della trasformazione, indicando, oltre al titolo della rubrica che ospitava i contributi teorici di Massimo Fagioli, la possibilità della trasformazione umana e di un nuovo ciclo di sviluppo sociale. Il nostro settimanale, è nato e si è affermato grazie a questa teoria, ed è aperto verso tutti coloro che sono disposti a lavorare affinché il sogno della rinascita della sinistra a partire dalle storiche rivendicazioni di libertà e di uguaglianza, diventi una realtà.
In assenza di una cultura politica adeguata all’attuale fase storica, “Liberi e Uguali” rischia di ripercorrere strade fallimentari. Nessuna genuina libertà, lontana da quella di sfruttare e opprimere il prossimo, e nessuna vera uguaglianza, possono affermarsi senza un pensiero sugli esseri umani e sui loro rapporti reciproci radicalmente diverso da quello del passato.