left 49, 19 dicembre 2015
Quattro piccole banche e la crisi di un sistema
Andrea Ventura
La società non esiste, esistono solo i singoli individui, afferma il motto degli anni ottanta. Ciascuno è il miglior giudice delle proprie scelte, afferma un principio cardine della teoria economica. Bene, è qui che dobbiamo cercare le ragioni ultime dei drammi personali legati al fallimento delle quattro banche locali. In omaggio a questi principi, infatti, ciascuno di noi quotidianamente è costretto a fare delle scelte senza avere piena consapevolezza delle loro conseguenze: firmiamo clausole indecifrabili quando stipuliamo contratti di fornitura di servizi, compiamo operazioni bancarie, acquistiamo una carta di credito; ci è chiesto il consenso alle pratiche mediche, all’installazione degli aggiornamenti sui nostri dispositivi elettronici, all’uso dei cookies per navigare. Non potendo essere informati su tutto, nella gran parte dei casi accettiamo e basta seguendo l’avviso di chi quel consenso ci chiede; dovremmo altrimenti avere un paio di avvocati sempre a nostra disposizione.
I danni subiti dai risparmiatori delle banche fallite rientrano in questo contesto. Le banche, infatti, operano in pieno conflitto d’interessi e questo conflitto, nelle condizioni attuali, è del tutto insuperabile. Proprio per tutelare il risparmio, a seguito della crisi del 1929 gli Stati Uniti e altri paesi industrializzati adottarono delle disposizioni in conseguenza delle quali le banche d’affari, che effettuavano operazioni più rischiose, furono separate dalle banche commerciali. Queste ultime raccoglievano il risparmio, effettuavano prestiti alla piccola clientela ed erano sotto lo stretto controllo della Banca centrale. Oggi, a seguito dei processi di deregolamentazione, questa distinzione è sparita e ogni banca può spaziare in ogni tipo di investimento, cosicché è suo interesse indirizzare i fondi dei propri clienti verso operazioni più redditizie ma anche a maggior rischio. La radice di questo e di tanti altri problemi è qui, per cui, come spesso accade, il piccolo investitore è spinto ad assumere rischi non nel suo interesse, ma in quello della banca.
La crisi della quattro piccole banche, inoltre, riassume sotto diversi profili alcuni mali specifici del nostro sistema economico: oltre al conflitto d’interessi di cui si è detto, abbiamo una cattiva gestione dei fondi e una rete di rapporti poco chiari con la politica. Infine siamo di fronte ad una crisi senza precedenti nel tessuto produttivo locale: se un’area economica entra in crisi, i prestiti effettuati dalle banche alle imprese diventano inesigibili e le banche stesse, in particolare quelle legate al territorio, rischiano l’insolvenza. Anche da qui nasce il fallimento dei quattro istituti.
Problemi per certi versi simili furono alla base della crisi americana del 2007-2008. Quella statunitense colpì il capitalismo occidentale al suo centro e ne paghiamo ancora le conseguenze. Questa è scoppiata alla periferia del nostro paese e non è chiaro quanto possa essere circoscritta. In entrambi i casi le ragioni vanno ricercate nella crisi di un modello di società dove il cittadino è ridotto a consumatore, il mercato non è un luogo di scambio ma un principio ordinatore della società nel suo complesso, e la tutela pubblica è stata sostituita da una cultura privatistica delle “regole” sempre più inadeguata a fornire una tutela effettiva. I singoli individui, che quel motto degli anni ottanta voleva valorizzare, sono così preda della legge del più …furbo. Non s’intravede alcuna inversione di tendenza.