left n. 24, 17 giugno 2017
A sinistra un’alternativa è possibile
Il risultato di Corbyn dice che ormai, con la crisi che incalza, le sole possibilità di vittoria per un partito legato alla tradizione del socialismo non possono prescindere dal mantenimento dei propri riferimenti ideali e del proprio radicamento sociale
di Andrea Ventura
Il risultato di Corbyn dice che ormai, con la crisi che incalza, le sole possibilità di vittoria per un partito legato alla tradizione del socialismo non possono prescindere dal mantenimento dei propri riferimenti ideali e del proprio radicamento sociale
di Andrea Ventura
L’ex ministro delle finanze George Osborne l’ha elegantemente definita «Dead woman walking», una morta che cammina, e non sappiamo se quando leggerete queste righe Theresa May sarà ancora a capo del governo. Fino a poche settimane fa del tutto impensabile, la sconfitta del partito Tory e sua personale, infatti, l’ha lasciata priva di maggioranza parlamentare. Così Theresa May è costretta a rincorrere una malvista e innaturale alleanza con il Democratic Unionist Party (Dup), partito protestante nord irlandese. L’alleanza appare difficile: il Dup si colloca all’estrema destra, è favorevole all’insegnamento del creazionismo nelle scuole, nega il riscaldamento globale ed è contro l’aborto e i matrimoni gay. È cioè distante dalle tendenze modernizzatrici dei Tory sui temi etici, ed è anche lontano da essi sui temi sociali ed economici, essendo contrario alle politiche di austerità. Molti dunque tra i Tory avversano questo accordo. Sembra però che questa costituisca l’unica possibilità per la May di avere una maggioranza parlamentare.
La sconfitta dei Tory lascia un Paese diviso ed incerto più che mai. Ma questa sconfitta è un’ottima notizia per diverse ragioni. Esce anzitutto clamorosamente sconfitto quel “Wishful Thinking” delle classi dominanti e di tutti i principali mezzi di comunicazione di massa, che hanno spacciato come dato di fatto quelle che erano le loro aspirazioni. Dalla vittoria di Corbyn alle primarie del 2015 e del 2016, avevano decretato, infatti, la definitiva emarginazione dei laburisti, e non c’è miglior modo di lavorare per la sconfitta di qualcuno che darlo per sicuro perdente. Fa impressione rileggere oggi gli impietosi giudizi della stampa, dei principali commentatori, dei politici inglesi (anche laburisti) ed europei, che da oltre due anni lo sottopongono a derisioni ed aggressioni che sfiorano il linciaggio. Pacato, senza scomporsi, il leader ma antileader Jeremy Corbyn ha mostrato di saper tenere testa a tutti costoro, e di avere a cuore solo il rapporto col suo popolo. Ed è stato premiato. Una brutta pagina dell’informazione, che poche volte ha mostrato così esplicitamente il suo vero volto di componente organica del potere politico ed economico. Certo, come è stato detto con riferimento ad altri contesto, è difficile pretendere l’onesta da persone il cui stipendio dipende dalla capacità di diffondere menzogne, eppure, intanto, con un lusinghiero 40% dei voti Corbyn non solo ha mostrato che questo blocco di potere costituito da politici, interessi economici e mezzi di comunicazioni può essere sconfitto.
Il risultato di Cornyn ha anche indicato che ormai, con la crisi che incalza, le sole possibilità di vittoria di un partito legato alla tradizione del socialismo non possono prescindere dal mantenimento dei propri riferimenti ideali e del proprio radicamento sociale. Attorno ad essi possono essere elaborate nuove idee e mobilitate le nuove generazioni. Queste ultime, pesantemente colpite dalla crisi, costituiscono una risorsa inestimabile perché si mantengono in larghissima maggioranza lontane dal ripiegare su sterili chiusure nazionalistiche: il futuro per loro è globale, questo è un fatto, ma non nel senso della globalizzazione del mercato e della speculazione finanziaria, piuttosto in quella assai più ricca della contaminazione culturale e della conoscenza.L’elettorato inglese sembra inoltre aver apprezzato che, nonostante le fortissime pressioni ricevute, Corbyn abbia mantenuto un difficile equilibrio nella campagna per il Brexit. Presa posizione a favore del Remain, egli è rimasto ai margini, sottolineando il fatto che l’Europa così com’è appare insostenibile. Lontano dagli sbandamenti della May, che dapprima è stata fervente sostenitrice del Remain, e poi accesa sostenitrice della “Hard Brexit”, la leadership di Corbyn è apparsa più equilibrata, specie appunto agli occhi delle nuove generazioni che hanno votato largamente per il Remain.Con la sconfitta della May subiscono infine una battuta d’arresto le politiche di austerità perseguite dai conservatori. Il ritorno dell’intervento pubblico, la proprietà pubblica di ferrovie, poste, acqua e infrastrutture, la difesa della sanità pubblica, dell’istruzione e in genere della spesa sociale, l’aumento delle tasse per i più ricchi e la richiesta alla Banca Centrale di politiche monetarie espansive per il popolo, e non per sostenere banche decotte, sono stati i temi della campagna del Labor party. Al di là della probabilità che queste politiche – un tempo legate alla normale gestione keynesiana dell’economia, ma oggi rivoluzionarie – riescano ad imporsi, siamo di fronte ad un fatto da cui la classe dirigente del paese non potrà prescindere: la ripresa di consensi dei laburisti con questo programma, la perdita della maggioranza parlamentare dei conservatori e l’ipotesi di una loro alleanza con un partito di estrema destra che le avversa, rendono le politiche di austerità di difficile applicazione. Anche sotto questo profilo il risultato delle elezioni dell’8 giugno costituisce un importante riferimento per tutti coloro che non credono nel dogma del TINA (There Is No Alternative) e che lottano per un’Europa dei popoli e della democrazia, e non dei mercati e della finanza.
Certo, anche se il partito di Theresa May è andato incontro ad una bruciante sconfitta – perdendo la maggioranza parlamentare, quando aveva indetto elezioni anticipate per rafforzarla – il Labour è lontano dal disporre di un numero sufficiente di eletti per poter formare un proprio governo. Il Paese, privo di una solida guida politica proprio alla vigilia di scelte difficilissime come la gestione della Brexit, non ha ancora imboccato una strada definitiva. L’esito elettorale, pur essendo una buona notizia, non costituisce dunque una garanzia per un’inversione di rotta. Assieme alla regina, a Londra, l’incertezza regna sovrana.
La sconfitta dei Tory lascia un Paese diviso ed incerto più che mai. Ma questa sconfitta è un’ottima notizia per diverse ragioni. Esce anzitutto clamorosamente sconfitto quel “Wishful Thinking” delle classi dominanti e di tutti i principali mezzi di comunicazione di massa, che hanno spacciato come dato di fatto quelle che erano le loro aspirazioni. Dalla vittoria di Corbyn alle primarie del 2015 e del 2016, avevano decretato, infatti, la definitiva emarginazione dei laburisti, e non c’è miglior modo di lavorare per la sconfitta di qualcuno che darlo per sicuro perdente. Fa impressione rileggere oggi gli impietosi giudizi della stampa, dei principali commentatori, dei politici inglesi (anche laburisti) ed europei, che da oltre due anni lo sottopongono a derisioni ed aggressioni che sfiorano il linciaggio. Pacato, senza scomporsi, il leader ma antileader Jeremy Corbyn ha mostrato di saper tenere testa a tutti costoro, e di avere a cuore solo il rapporto col suo popolo. Ed è stato premiato. Una brutta pagina dell’informazione, che poche volte ha mostrato così esplicitamente il suo vero volto di componente organica del potere politico ed economico. Certo, come è stato detto con riferimento ad altri contesto, è difficile pretendere l’onesta da persone il cui stipendio dipende dalla capacità di diffondere menzogne, eppure, intanto, con un lusinghiero 40% dei voti Corbyn non solo ha mostrato che questo blocco di potere costituito da politici, interessi economici e mezzi di comunicazioni può essere sconfitto.
Il risultato di Cornyn ha anche indicato che ormai, con la crisi che incalza, le sole possibilità di vittoria di un partito legato alla tradizione del socialismo non possono prescindere dal mantenimento dei propri riferimenti ideali e del proprio radicamento sociale. Attorno ad essi possono essere elaborate nuove idee e mobilitate le nuove generazioni. Queste ultime, pesantemente colpite dalla crisi, costituiscono una risorsa inestimabile perché si mantengono in larghissima maggioranza lontane dal ripiegare su sterili chiusure nazionalistiche: il futuro per loro è globale, questo è un fatto, ma non nel senso della globalizzazione del mercato e della speculazione finanziaria, piuttosto in quella assai più ricca della contaminazione culturale e della conoscenza.L’elettorato inglese sembra inoltre aver apprezzato che, nonostante le fortissime pressioni ricevute, Corbyn abbia mantenuto un difficile equilibrio nella campagna per il Brexit. Presa posizione a favore del Remain, egli è rimasto ai margini, sottolineando il fatto che l’Europa così com’è appare insostenibile. Lontano dagli sbandamenti della May, che dapprima è stata fervente sostenitrice del Remain, e poi accesa sostenitrice della “Hard Brexit”, la leadership di Corbyn è apparsa più equilibrata, specie appunto agli occhi delle nuove generazioni che hanno votato largamente per il Remain.Con la sconfitta della May subiscono infine una battuta d’arresto le politiche di austerità perseguite dai conservatori. Il ritorno dell’intervento pubblico, la proprietà pubblica di ferrovie, poste, acqua e infrastrutture, la difesa della sanità pubblica, dell’istruzione e in genere della spesa sociale, l’aumento delle tasse per i più ricchi e la richiesta alla Banca Centrale di politiche monetarie espansive per il popolo, e non per sostenere banche decotte, sono stati i temi della campagna del Labor party. Al di là della probabilità che queste politiche – un tempo legate alla normale gestione keynesiana dell’economia, ma oggi rivoluzionarie – riescano ad imporsi, siamo di fronte ad un fatto da cui la classe dirigente del paese non potrà prescindere: la ripresa di consensi dei laburisti con questo programma, la perdita della maggioranza parlamentare dei conservatori e l’ipotesi di una loro alleanza con un partito di estrema destra che le avversa, rendono le politiche di austerità di difficile applicazione. Anche sotto questo profilo il risultato delle elezioni dell’8 giugno costituisce un importante riferimento per tutti coloro che non credono nel dogma del TINA (There Is No Alternative) e che lottano per un’Europa dei popoli e della democrazia, e non dei mercati e della finanza.
Certo, anche se il partito di Theresa May è andato incontro ad una bruciante sconfitta – perdendo la maggioranza parlamentare, quando aveva indetto elezioni anticipate per rafforzarla – il Labour è lontano dal disporre di un numero sufficiente di eletti per poter formare un proprio governo. Il Paese, privo di una solida guida politica proprio alla vigilia di scelte difficilissime come la gestione della Brexit, non ha ancora imboccato una strada definitiva. L’esito elettorale, pur essendo una buona notizia, non costituisce dunque una garanzia per un’inversione di rotta. Assieme alla regina, a Londra, l’incertezza regna sovrana.